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aveva, e poi a farlo meno acerbo contribuiva la nascita di una figlia, a lui vecchio e malconcio dalla gotta, partorita pochi giorni innanzi dalla moglie trentenne; il dabbene uomo la chiamava la figlia del miracolo, ma chi l’udiva pensava come di cotesta maniera miracoli assai di frequente accadevano nei castelli, dove stanzia continuo un presidio di soldati, quantunque di tratto in tratto si muti. Il chirurgo maggiore, per la fumata d’incenso che gli aveva sbraciato Filippo, venuto propizio alla istanza di lui, ed anche per levarsi dintorno la seccatura di dover visitare la inferma, l’approvò con molte ragioni, una più bella dell’altra; onde Filippo ottenne la facoltà di starsi per qualche ora assente dal Castello, a patto che il servizio non ne soffrisse.

Filippo, salutato il comandante, partiva, senonchè mutati alquanti passi tornava indietro, e levata la mano al berretto aggiungeva:

— Signor comandante, vorrei sottoporre alla sua saviezza di mandare un uomo di rinforzo al sottocarceriere durante il tempo che io starò lontano: ella sa che stummie di gente ci tocca custodire, ed è meglio aver paura che toccarne.

— Giusto! Era quello che pensava anch’io; andate franco, sergente, che terrò l’occhio alla penna.

Filippo con celeri passi s’incammina alla prigione di Curio in compagnia dell’aiuto servente: entra senza salutare il carcerato, e molto sollecita il servo