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capitolo xxii. |
— Direbbe bene, il signor capitano, se la finestra non desse sopra un corridore che prende aria da finestrini muniti di ferro in croce; e tagliati anche questi, che avrebbe fatto il prigioniere? Nulla, perchè si troverebbe in una chiostra, chiusa da tutte le parti e per giunta vigilata dalla sentinella.
— Com^ è così muta specie: anche a me parrebbe che avesse a bastare.
— Aggiunga poi, illustrissimo, che il prigioniere non ci ha a stare mica libero, bensì incatenato al pancaccio.
— Giusto! E quello che pensava ancora io. Intanto Curio, sentendosi rifinito, si lasciò andare sul pancaccio, dicendo con fievole voce: ho sete.
E Filippo al capitano:
— O che un bicchiere di acqua io gliel’ho a dare?
— Gua’! fate voi; per me, pensandoci su, mi sembra che gli si potrebbe dare.
Allora Filippo entrò in prigione, ed accostatosi a Curio a voce alta gli dice:
— Un po’ di pazienza e avrete l’acqua: — e a voce sommessa aggiunse: Curio, coraggio!
Conosco gente che va matta a vedere la pioggia delle stelle cadenti; per me, da una volta in su, e fu la notte della vigilia di San Lorenzo, non la volli più vedere, imperciocchè allora mi venisse fatto rassomigliarla alle parole regie, che partono dal