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192 | il secolo che muore |
caso mai metto il piede in fallo, anche di mezzogiorno io vedo le stelle.
— Ma, ecco qua, l’altro grido donde è venuto?
— Ah! l’altro grido... non le faccia specie, signor capitano, nella piazza ci è l’eco, taluni dicono che ci si risente; grullerie? Come ho avuto l’onore di informarla, è l’eco. Mi rincresce proprio che avrà svegliata la signora del signor comandante, la quale, come saprà, dopo un travagliosissimo parto è entrata appena in convalescenza; — quanto a prigioni, di quelle a tutta prova ne possediamo poche; per fortuna, la meglio, secondo la mia povera opinione, in questo momento è vuota: — favorisca, signor capitano, di visitarla e dirmene il suo parere.
— Stupenda!
— Veda la porta com’è bassa; per entrarci bisogna andare carponi.
— Vedo; ed ecco qua, munita di doppie porte: — le serrature è a due mandate — i chiavistelli robusti, muniti con bravi lucchetti... chi la fece non mancava di giudizio.
— Consideri! Lo chiamavano Sette cervelli; lunga è poco più di quattro passi, a cinque non ci arriva; a livello del pavimento si apre la finestra munita di due grosse inferriate...
— Oh! qui mi cascò l’assino; meglio... meglio in alto vicino al palco, le finestre basse, ecco qua, sono troppo alla mano per essere segate.