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capitolo xx.


una voce. Amore fu che ti condusse al mio seno, battendo le ale dove si riflettevano i gaudi senza fine molteplici dei cuori innamorati. Amore, dopo averci condotti al talamo, spense, agitando più forte l’ale, le tede che ardevano dintorno, poi le distese sopra e ci coperse a guisa di padiglione, e se di tratto in tratto le scosse, ei lo fece per piovere sopra i nostri spiriti sogni felici, nella maniera stessa che le farfalle testè prese piovono una forfora di oro sopra le dita di cui le tiene prigioniere...

— Scusi, signor querelante, ma quanto ella ha detto non fa al caso...

— Non fa al caso? Signor presidente, che diavolo dice? Al contrario, gli è proprio il casissimo... ella mi ha rotto...

— Io non rompo nulla.

— E lo lasci sfogare, esclamarono taluni dal banco dei giurati.

— E lo lasci sfogare, ripeterono molte voci in platea, massime femminili.

E il presidente chiotto chiotto si aggomitolò come un istrione fischiato.

— Ed ora dove sono rimasto? esclamò Efisio stropicciandosi a più. riprese la fronte...

— Alle farfalle, gli ripeterono tre voci o sei dalla platea.

— Silenzio! torna a strillare l’usciere.

— Io non avrei mutato, proseguiva il poeta, il