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capitolo xxii. |
rezza rassomigliava ai dì di primavera, quando la pioggia bagna le piante ed il sole le asciuga, onde esse si drizzano rigogliosamente liete, quasi per ringraziarlo di coteste sue virtù per le quali godono la vita.
E luce dell’anima sua era Eufrosina, la celeste fanciulla, la quale riposa serena sopra i dolori della vita, simile al bambino Gesù dipinto dormente dal soavissimo pennello dello Albano, intanto che mormora fra il sonno: ego dormio, sed cor meum vigilat.
Filippo, se non con amore, con diligenza pari ha compito le tre operazioni nelle quali si versa la presente sua vita: tastò le porte e le inferriate delle carceri, consolò i carcerati, adorò la figliuola Eufrosina, la quale quando egli vide addormentata contemplò sorridendo, la baciò, e contento come una pasqua andò quindi a coricarsi.
Non bene passata un’ora, venne desto a forza da un rumore confuso di schioppi lasciati andare giù di schianto sul selciato, d’imprecazioni e di catene. Si sollecita a vestirsi alla meglio e schizza giù in piazzetta; faceva buio fitto, e comecchè portasse la lanterna, egli appena distinse gli oggetti circostanti; pure vide al barlume parecchi soldati, che sotto la scorta di un ufficiale conducevano prigionieri in Castello; subito ebbe sospetto che si trattasse di pezzi grossi.