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186 | il secolo che muore |
I delitti animosi vogiionsi considerare come altrettante grappe di bronzo, le quali penetrano nel cuore e nelle carni dei popoli come nei massi di granito e li tengono con inestimabile stabilità legati insieme, mentre le virtù codarde appiccicano, non attaccano; il visco agguanta i pettirossi; le aquile portano via visco, vergone e tutto.
Adesso dovendo scrivere di Filippo, padre di Eufrosina, le virtù pusillanimi non ci hanno che fare, e nemmeno i delitti rubesti, bensì ci capita con grandissima compiacenza dell’animo nostro di favellare di un cuore temperato ottimamente, il quale, in qualsivoglia punto della terra lo avesse balestrato la fortuna, sariasi creduto sempre nel suo centro, e da qualunque plaga di cielo avesse rivolto gli occhi in alto, gli sarebbe parso di vedere Dio per trovarsi faccia a faccia e favellare con lui. La vita pigliava qual’era, senza querimonia come senza tripudio. Dalla buona del pari che dalla ria ventura attendeva a cavare qualche cosa che giovasse alla umanità: e forti dulcedo, nel modo che adombrava l’enimma proposto da Sansone ai filistei; se il destino gli poneva nelle mani rose, ei ne tesseva ghirlande pei felici; se catene, ei ne foggiava spade per gl’impazienti di servitù. E poichè egli aveva fede che le dieci trasformazioni di Visnù, dirimpetto alle infinite a cui la materia del suo corpo, prima che la natura gllel’avesse data a nolo, e dopo