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capitolo xxi. |
volo non concludeva, e poi il diavolo da tanto tempo ci aveva acceso su la ipoteca, che non ci era da pensarci ne meno; peggio votarsi ai santi.
Guardò torvo l’addormentata e le vide i pendenti agli orecchi.
— Non basteranno di certo, borbottò fra se, ma sarà sempre qualche cosa — e ci stese sopra la mano bramosa, svellendoglieli in modo così brutale, ch’ella, quantunque dormente, ne gemè. — E ora che si stilla? Di un tratto, toccatasi con la mano la fronte: — Smemorato che sono, esclama: la Madonna! che, lei sveglia, non ho potuto saccheggiare mai. — Eccola! Non manca nulla, aggiunse dandosi una fregatina di mani secondo l’usanza del Cavour, corona, lampada, angiolino e piletta; vera consolatrice degli afflitti!
E la corona, la lampada, la piletta e l’angiolino — fino l’angiolino, che nella destra brandiva l’aspersorio in modo che pareva volesse venire ad uno assalto di sciabola con Lucifero — tutto insomma egli ripose nelle tasche.
Così il soldato adoperava con Radegonda come il prete con Amina: uccelli entrambi da preda.
Compito l’inclito gesto, il Fadibonni si partiva senza spegnere il lume, scalzo, con gli stivali in mano, e lasciando l’uscio spalancato; se non che giunto a mezze scale gli frullò in mente che i casigliani, levandosi di buon mattino e notandolo, sospettosi di