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capitolo xxi.


tentacoli. Ora taluno vorrebbe sapere chi dei due condusse la povera donna al mal passo, l’anima o il corpo. Per me confesso addirittura che non lo posso contentare; primamente, perchè mi riesce diffìcile chiarire distinta la esistenza di cotesti due enti, e supposto che riuscissi a sciogliere siffato nodo, ecco che inciamperei nell’altro, non meno scabroso, di determinare se la materia prevalga allo spirito, viceversa; chi il mandante, chi il mandatario, o piuttosto chi il colpevole in capo e chi il complice. La meschina era cascata dentro una fitta, dove ogni conato per uscirne la faceva sprofondare vie più: peccava, si pentiva, tornava a peccare per ripentirsi poi, e così con perpetuo ciclo logorava ogni estremo residuo di volontà, di pudore, ed eziandio di salute. Dall’altra parte il maggiore, attaccatosi come ruggine alle sue ossa, le sperperava con persistenza scientifica ogni sostanza; orerie, argenti, pannilini, lani, stoviglie, rami tutto insomma mano a mano spariva. Cotesta casa era neve al sole, ned ella si attentava rifiutare nulla, anzi, strano a dirsi! dava volentieri, pensando che le tribolazioni vecchie e nuove provate nel suo traviamento le dovessero andare in isconto dei peccati.

Alla stregua che la roba scemava, le assenze del maggiore infittivano e si prolungavano: adesso correvano mesi che non capitava a casa Radegonda; difatti ci era rimasto tanto olio da mandare un so-