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capitolo xxi.


regola: mentre Abramino riscontrava l’obbligazione, il maggiore stese le mani rapaci e pronte sopra i biglietti di minore valuta nei quali il cambiamonete aveva barattato le lire mille, e se li ripose in tasca.

— I miei biglietti! Dove sono iti i miei biglietti? esclamò Abramino non li vedendo più sul banco.

— Non si scarmani, li ho presi io per andarcene adesso insieme da Giulia. Capisce che la nostra delicatezza non le consente ch’ella paghi le settecento lire alla Giulia in mia presenza: parrebbe ch’ella sborsasse il prezzo della mercanzia che io le consegno: con persone bene allevate non bisogna trascurare mai i debiti riguardi: i riguardi, signor Abramino, chiamano lo amore quando non è nato; nato lo mantengono sano.

— Sarà, lo dice lei.

Andarono. Giulia, guardando traverso le stecche della persiana, li aspettava, e il suo cuore batteva forte come un tamburo (sono desolato pensando che ormai il mio lettore non potrà più apprezzare la esattezza di questa similitudine, dopochè il ministro Ricotti ha soppresso i tamburi per far morire d’itterizia il capitan Lamarmora) per la paura che non venissero più. Non aveva serva, andare ad aprire essa le pareva cosa da scapitare nella stima del signor Abramino; non le sovvenendo meglio lasciò l’uscio aperto, onde le comparve addirittura davanti il maggiore, che tenendo per mano Abramino, glielo con-