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usciva: giovane egli era e intabaccato di Giulia, però la concupiscenza a cagione degli ostacoli rinascenti gli s’inviperiva, onde brontolò questa risposta:

— Via, per amor suo, signor maggiore, mi sobbarcherò anche a questo carico; le presterò trecento lire.

In capo a cotesta contrada, appellata col nome del Cavour, teneva bottega uno ebreo cambiamonete, creatura del padre Abacuc; da lui Abramino si fece dare una carta bollata da pagherò, e porta la penna al Fadibonni gli disse:

— Scriva, io detterò.

— Sono ai suoi ordini.

— Da oggi a tre mesi pagherò io sottoscritto all’ordine del signor Abramo Ottolenghi lire trecentoventi...

— Come trecento venti? non devono essere trecento?

— O gl’interessi chi me li paga? Veda, caro lei, le conteggio uno per cento al mese; un vero regalo; la tratto da fratello.

— Mi pareva che, anche a modo suo, farebbero trecentonove.

— E la senseria? E la provvisione? E il foglio bollato? Caro lei, gliene regalo mezzi. Tiri via.

Il Fadibonni, risoluto a non pagare frutti nè capitale, non istette su lo spilluzzico, scrisse, sottoscrisse, appose la data, fece insomma ogni cosa in