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capitolo xxi.


— Di poca fede! perchè hai dubitato? Da’ retta e veniamo subito a mezzo ferro, che a te preme, come a me, stringere presto il negozio.

— Sono tutta orecchi.

— La necessità mi costringe a lasciarti; il mio reggimento muta di guarnigione; nè la mia miseria mi concede condurti meco, che pure mi sei cara quanto le pupille degli occhi; però non volli palesarti l’animo mio se prima non aveva provveduto per bene le tue faccende; — da me dunque avevi duecento lire al mese?

— Cioè, me le promettesti, ma io non le vedeva mai intere, e per di più a spilluzzico.

— Ora ne avrai cinquecento anticipate, e tutte in un picchio.

— O angiolo mio!

— Nè questo è tutto; per alloggio, servitù et reliqua altre duecento lire, del pari anticipate.

— Bada, maggiore, si muore di piacere come di affanno; ma caso mai ti fosse venuto l’estro di far la burletta meco, ti avverto che ho un paio di granfie da conciarti pel dì delle feste.

— Giulia, non mi fare la cialtrona; io parlo da senno; una difficoltà ci potrebbe cascare, ma verrebbe da te.

— E sarebbe?

— Colui che destino a surrogarmi nel tuo cuore è un ebreo.