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capitolo xxi.


fiato fumoso. Al più lieve strepito schizza su a sedere sul letto e porge affannato l’orecchio; poi ricade e il petto gli si alza e gli si abbassa come se gli avesse a schiantare il cuore.

Squilla il campanello! E il Fadibonni su ritto a gridare da spiritato:

— Biagio, chi è? Va’ a vedere chi sia. Chi è? Non ti movere.

— Caro lei, se non mi lascia andare, non glielo saprò dire di qui a domani.

— Va’, sì... fa’ presto.

— Ci è il maggiore? si ode dalla stanza accanto; e subito rispondere:

— Non so... credo... andrò a vedere.

— Va’ via, balordo; avrai da cercare un pezzo in una stanza e mezzo.

— Allora ci è, passi.

— To’, gua’! sempre a letto, poltrone...

— Che miracolo è questo, capitano Parpaglione?

— Come miracolo? O che per te è miracolo che un amico vada a visitare un amico in angustie? Così favellava un uomo mal tagliato, di cui la faccia Rebecchino per risparmiare danari avrebbe potuto pigliare a insegna della sua osteria, e proseguiva: Ci è nulla in casa da bagnare la parola?

— Vuoi vino? Acquavite?

— Biagio, la boccia dell’acquavite e un gotto; il vino è per gli stomachi deboli.