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138 | il secolo che muore |
ad ogni patto; alla carità di figlio si aggiunse ardore di amante; se questo più e l’altra meno, chi saprebbe dire? Eufrosina era la luce dell’anima sua. Mercè la fede del medico curante, la madre ottenne il congedo per assentarsi parecchi giorni, e andò.
Giunto a Milano su la piazza del Duomo, voltò gli occhi in su per ammirarlo, imperciocchè ad ogni buono ambrosiano il Duomo rappresenti tutta Milano; di Lombardia e d’Italia anche un bel tocco, poi un po’ degli amici, dei parenti, del babbo, della mamma, e aggiungi altresì dell’amante. Tutti cotesti angioli, arcangioli e santi di ogni generazione, dentro e fuori le nicchie, egli reputa suoi conoscenti; tuttavia, se vogliamo dire la verità vera, Curio pareva guardasse tutta quella gente, ma non la guardava; tra il sì e il no gli ciondolava il pensiero se dovesse condursi prima a visitare Eufrosina, ovvero la madre; ci corre il debito avvertire che l’amore di figlio prese il sopravvento, e comparve improvviso a casa la madre.
Non si descrivono i pianti, i baci, le rimembranze dolorose del passato, nè gli affanni del presente, che al guardo spaventato di Curio pur troppo la sorella Arria apparve come donna sopra la quale la morte abbia segnato: «posto preso.»
Il passato e il presente in tutto tenebra; nò meno buio il futuro. Eufrosina sempre divinamente bella;