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testa di asino. Io, vedi, per diventare maggiore non ebbi altri meriti oltre quelli di mordere il generale e cedere un terzo della paga al colonnello.

— Pazienza! Io non diventerò mai maggiore.

— Ebbene, se non vuoi dirne male, astienti da dirne bene, perchè, adesso che ci penso, sono tanti quelli che, beneficati da lui, se ne lavano la bocca, che ormai non se ne fa più caso; sta’ zitto e basta.

— E quando mi disponessi a farti da servitore, quali sarebbero i miei obblighi?

— Meno che nulla, vedi. La mattina avresti a farmi il caffè e portarmelo a letto; ed ecco fatto. Scotere, bacchettare, spazzolare le vesti, il mantello, il berretto; ripulire gli stivali, lustrare sproni, bottoni e squadrone; assettarmi la sciarpa; ed eccoti fatto. Portare le lettere che lascerò la sera sul tavolino; se alla posta, alla posta; le altre a cui vanno, capitani, colonnelli, capi sezioni, segretari, ministro, eccetera; soprattutto hai da porre avvertenza a due, una colla busta gialla e l’altra con la busta rossa; la gialla va alla mia vecchia amante, la rossa alla giovane; guarda a non isbagliare, che tu mi spianteresti di netto; ed eccoti fatto. In un lampo ti sbrighi; tornato a casa, spazzi la camera, rifai il lotto, mi aiuti a vestire, mi cuoci tre uova o quattro, a battiscarpa mi arrostisci una braciola...

— C’è altro?