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capitolo xxi.


— E com’entra il gioco con la guerra?

— Nel gioco, come nella guerra, assaltiamo, ci difendiamo, perdiamo, vinciamo, ci ritiriamo, rifacciamo le forze, torniamo all’offensiva: pari la filosofia nella guerra e nel gioco, sia per trarre partito dai tempi, dai luoghi, dalla conoscenza dell’indole dell’avversario: insomma impossibile esser guerriero e capitano bravo, se con notturna mano e con diurna non agitiamo indefessi le carte di lanzechenecco e di bambara. Ma a ciò diamo di taglio; or dimmi un poco, non ti converrebbe acconciarti meco per confìdente?

— Confidente che è?

— Gli è il soldato di compagnia dell’uffiziale, ed è perciò che viene affrancato da ogni servizio al quartiere; onde, se togli il debito di pulire le sue vesti e la sua armatura, per due o tre ore per giorno esercitarsi, si può dire quasimente libero.

E siccome a Curio venne fatto di ridere, il Fadibonni, pigliando cotesto sogghigno per assenso, soggiunse: solo ti avverto, che se tu vuoi durare al mio servizio, quante volte tu ti trovi a conversare con gli uffiziali miei amici, procura dir corna del Garibaldi; più grosse le dirai e più verrai in fama; non chiamarlo mai generale, dagli dell’avventuriere, e se ti capita anco del brigante. Adesso corre il costume di ripetere con ammirazione il detto del gran capitano Lamarmora sopra di lui: cuor di leone,