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capitolo xxi.


letto, come intorno le patrie costiere quando il mare si mette alla burrasca. Appena trasse un sospiro, ecco staccarsi dallo stormo uno di cotesti uccellacci, che agitando un paio di ale bianche dalle parti laterali del capo a lui si avvicinò; allora si accorse che gabbiano non era, bensi una di quelle creature che per buttare le mani innanzi si chiamano suore di carità. A chiamarle donne noi offenderemmo le nostre madri. La suora di carità che volò con l’ale tese verso Curio era giovane, di capello sauro, come la più parte delle cavalle maremmane e delle femmine francesi, bianca nella faccia, ma di un bianco spiacente, come sarebbe a dire di calcina lattata,1 nel sommo delle gote pareva ci avesse impastato un ranuncolo; gli occhi tondi, neri, quali tu miri nelle pollanche: e perchè io stringa la mia immagine in poche parole, la si sarebbe potuta mandare per modello agli scultori di Norimberga, disperati fabbricanti di puppatole. Il gabbiano... vo-

  1. Fra Agnolo Firenzuola, che ragionò della bellezza delle donne, e se ne intendeva, ecco che pensa intorno alla bianchezza delle donne: «alle guance conviene essere candide; candida è quella cosa che insieme con la bianchezza ha un certo splendore come l’avorio; e bianca è quella che non risplende come la neve. Se alle guance dunque, a volere che si chiamino belle, conviene il candore, al petto basta la bianchezza solamente». Dialogo I, p. 21. — Per me non vo’ lite coll’amoroso abate vallombrosano, ma le facce lustre, inverniciate, mi sembra che si addicano alle bambole, non già alle belle donne; però me ne rimetto agl’intendenti.