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capitolo xvi. 95


l’animo di condannarmi pel boccone ch’essi masticano sempre! Puta il caso ci fosse colpa, non vi potrebbe essere giudizio, perchè i giudici per la massima parte sono miei complici. Qui la è chiara come l’ambra: dubbio non ci può cascare; vorrei vedere anche questa!

E se accadeva che simili fantasie venissero a frullargli nella testa quando stava in letto, si tirava giù il berretto da notte fino su gli occhi e si addormentava nella pace ineffabil del Signore,

Così Probo argomentava fondandosi sul dettato: cane non mangia cane; e sbagliò, però che dovesse all’opposto pigliare per regola di condotta l’altra sentenza, che i lupi danno addosso al lupo ferito e lo divorano. Quindi un bel dì si trovò accusato e tradotto alla presenza dei suoi complici trasformati in giudici. La natura, la quale diede pure ardimento allo scorpione e l’ira al verme, non corteseggiò niente di tutto questo con Probo: respinse da sè come una tentazione del demonio la idea di acciuffare taluno di cotesta nobile ciurma e rotolarlo giù nel rigagnolo a voltolarsi con lui; fermo nella sua ghiacciata abiezione, quanto più lo trafiggevano, ei rifaceva il conto su le dita dell’utile e del danno di rompere paglia con loro: «quando li avrò travolti nella polvere, forse ritornerò io sopra l’altare? Bisogna avvertire bene a questo, che se essi mi si mostrano in apparenza avversi, noil fanno mica per