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capitolo xvi. 93


ho esposto il vero? Non mi adoperai per la buona causa? Perchè vi lamentate di gamba sana? Ah! voi pretendereste miglior pan che di grano? Badate che all’ultimo non vi abbiate a contentare di pane di vecce.

— Sì, gli rispondevano, ma purchè tu ci trovassi il tuo utile non ti saresti condotto in altro modo quando tu avessi avuto a fare nello erario uno sdrucio da misurarsi col metro.

— Sabato non è, e la borsa non ci è, rispondeva procace l’Anussi; intanto godetevi il bene ch’io vi ho fatto, e non mi rompete più il capo.

Quando poi vide che il cielo si chiudeva minaccioso dintorno, non istette ad aspettare lampo ne tuono, bensì messo ogni suo valsente in moneta, levò le tende e si ridusse in più sicuro porto. Sul partirsi d’Italia non esclamò come Scipione: ingrata patria non avrai le mie ossa, imperciocchè gli ebrei non conoscano patria, e delle sue ossa non avrieno saputo che farsene, nè anco manichi da coltello; — e neppure furono viste seguitarlo fremendo le virtù prische del latino impero; bensì, scodinzolando di qua e di là da vero nabisso,1 non rifiniva dal dire:

— sapete com’è? Chi l’ha a mangiare la lavi, e chi l’ha da friggere la infarini.

  1. Nabisso vale il ragazzaccio irrequieto, scombussolatore, metti male e fa male; l’enfant terrible dei francesi.