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capitolo xvi. 91


destri, sinistri e ventrìgli, votarono a gara. Ho sentito dire che taluno, nell’estro del suo entusiasmo, mettesse nell’urna fino a tre pallottole nere. Probo Seigatti, con immensa maggiorità di fave, era bandito imprenditore della proposta ferrovia: e la scattò di un pelo che non fosse proclamato padre della patria.

Ahimè!

Cosa bella e mortai passa e non dura.


Ho narrato la fine dei consorti briganti con Omobono, ma gli uomini cattivi come i serpenti velenosi non cessano mica per morte di travagliare il prossimo, e prova ne sia lo stivale del fittaiolo di Pensilvania, dove rimase fitto un dente di serpente a sonagli; oltre al padre, costò la vita a due figliuoli, i quali uno dopo l’altro calzatolo, n’ebbero scorticata la gamba, e quindi dopo breve ora morirono avvelenati. Omobono e il suo satellizio si posero il pensiero della vendetta come una corona di spine sul capo; sparsero da per tutto voci di corruzioni, e non dicevano in questa parte calunnia; di mance date; salari pattuiti; voti compri come polli al mercato; ma soli non facevano frutto, o poco; di corto ci si aggiunsero intorno tutti quelli che, abbindolati dal Seigatti, non ebbero nulla, e gli altri i quali, delusi, ebbero poco. Di fatti Probo, finita la festa, aveva levato l’alloro; di umile che fu, ora lo provavano insopportabilmente arrogante: dapprima