Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
capitolo xvi. | 87 |
la calamita ha mutato polo? Egli scusavasi conia sentenza antica: Deus fecit nos, non ipsi nos.1
Probo se ne stava umile in tanta gloria; aveva l’aria di un condannato di Sibari, dove per ultimo supplizio costumavano annegarlo sotto un cumulo di fiori: dopo Marat, passeggiato in trionfo per Parigi su di una seggiola, verun personaggio al mondo raccolse più di Probo grossi fasci delle amate fronde,
Onor d’imperatori e di poeti.
Non Mario, non Cesare, non Alessandro, non Garibaldi a Marsala, non Lamarmora a Custoza, e quasi, sto per dire, nè anco Persano a Lissa; dicono che egli stesso ne fu spaventato, temendo che l’ardore della apoteosi lo portasse troppo presto in paradiso...
Hai tu mai visto nel bel mese di maggio la passera delle Canarie in gabbia? Ella scende senza posa e salisce per tutte le cannuccie messe traverso alla gabbia, e scodinzola, e saltabella, e il capo volge a destra e a sinistra cantando a distesa; tu fa’ conto che questa passera coll’Anussi non ci è per nulla; tu lo miravi svolazzante per tutti i banchi dei deputati onde tenerli fermi, o per condurli al piolo; faceva davanti a loro la fiorata di promesse come i buoni cristiani la fanno di rosolacci, di ginestre
- ↑ Tale mi fece Dio, non io