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capitolo xv. 49


e invece che con ira venivano accolte con alte sghignazzate e suono di mani con elle: anzi in cotesta guisa fu aperto il cancello ad una giocondissima tenzone, dove se uno appiccicava sorbe, l’altro non mondava nespole: ogni scudo veniva giusto barattato per cento soldi: riferire tutti cotesti discorsi non parrebbe onesto, basti che il vituperio, arrandellato fuori di finestra il pudore e il tabarro e il cappello di lui, tornò a tavola, e quivi, tiratesi su le maniche della camicia, cominciò a vomitare le più sozze e ree cose che si sieno udite nel mondo.

— Domani, diceva Egeo ridendo, volto ad Elvira, tu cesserai un momento il sacerdozio di Venere per quello di Mercurio....

— Perchè? osservava un convitato; forse questi sacerdozi sono benefizi con la cura delle anime che non permettono il cumulo?

— Ma, entrava a dire un terzo, io porto opinione che la Elvira abbia in un medesimo punto ministrato alla diva e al nume; anzi, giurerei che taluno di noi potrebbe farne testimonianza come di fatto proprio.

— Insomma delle somme, urlava Elvira, dissimulando col riso il vituperio di cui l’abbeveravano, si potrebbe sapere perchè vorreste che io uficiassi domani in tempio diverso del consueto mio?

— Perchè Mercurio è il santo nostro e di parecchi ministeri, come sarebbe a dire di quello delle finanze,