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42 | il secolo che muore |
Egeo, compiacendo alla sua prava natura, ed anco a un vago desiderio di sottrarsi, potendo, alla servitù della Elvira, che incominciava a provare leggera quanto un pane di piombo sopra lo stomaco, prese a blandire più che non soleva Amina, la nipote di lei: se veramente ella fosse tale non sapeva; ne dubitava; tuttavia, poco premendogli di venirne in chiaro, lasciava andare tre pani per coppia. Di Amina non si poteva dire che versasse acqua diaccia nella pentola, ma ne manco ci metteva legna sotto: lasciava che cocesse così lemme lemme senza spiccare il bollore: — spesso mi trovo imbrogliato a esprimermi come vorrei, forse ci rasenterò dicendo ch’ella provocava pudibondamente le carezze, molto più che ogni carezza le fruttava un regalo. Ora, le carezze di amore, od egli sia di sai fine, ovvero di sale grosso, si sa, le sono come le ciliege, di cui una tira le quattro e le quattro, venti; così Egeo, non avvezzo neppure agli assedi regolari, un bel giorno, trovata sola Amina, volle di punto in bianco baciarla in faccia.
Mi chiamo impotente a descrivere la maraviglia, il furore, il rossore della castissima donzella, e ci rinunzio; dirò solo che in breve ella pensò se doveva urlare, o disperarsi, o svenirsi, o che cosa altro diavolo fare: — deliberò con atto dignitoso respingere da se il novello amatore, e significargli con fermo accento: