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capitolo xix. 433


innanzi una seggiola, ci monta sopra, stacca la lampada, ne cava il lampioncino di vetro, dove ardeva galleggiante su l’olio il lucignolo, dipana le catenelle intorno al guscio della lampada, e giù tutto in tasca. Anche questa è fatta; ora tocca a te, Cristo. Tu sai, mio divino Redentore, se io voglia o possa dividermi da te. Tu hai salvato me dalla servitù del demonio, ed ora intendo renderti la pariglia salvando te dall’obbrobrio di questa casa; e strettolo nelle gambe lo cacciò nelle tasche del suo tonacone a capo in giù come ci danno ad intendere che fosse crocifisso san Pietro a Roma, dove egli non capitò mai. All’ultimo, passato e ripassato lo sguardo da per tutto, a mo’ che il barbiere costuma il rasoio sopra le gote dell’avventore per farci la barba e il contropelo, conobbe essere tempo di levare le tende: per la qual cosa attorse un bioccolo di cotone intorno a un ferro da calza, e lo tuffò per fare più presto nell’olio da lumi del lampioncino; chiamate poi le beghine e le serve in camera prese a menare il ferro col bioccolo unto per la fronte della moribonda a mo’ d’imbiancatore che scialbi una parete: dalla fronte in fuori altro non unse, essendone dispensati i preti dai sacri canoni in caso di contagio. Profferite ch’ebbe così alla lesta le parole sacramentali della estrema unzione, aggiunse con voce di usciere che intimi lo sfratto:

Proficiscere anima christiana.