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capitolo xix. 425


ai danni dell’infelice Omobono; e giunte le mani, con gli occhi levati al cielo, stette come persona che attenda il colpo di grazia; ma con sua maraviglia somma, non meno che con sollievo, la voce del prete, lasciato di un tratto il suono del serpentone, assunse quello soavissimo del plauso, e le diceva: Dio stendere così larghe le braccia da ricoverare bene altre colpe che non erano le sue, a patto però ch’ella con attrizione e contrizione dei peccati commessi si pentisse e con fermo proposito deliberasse di non commetterne più. (e qui il prete si prendeva evidentemente gioco della moribonda). Tuttavolta, il sacerdote proseguiva, il pentimento solo non bastava alla espiazione delle colpe; occorreva lo accompagnassero i suffragi, i quali non solo avrebbe dovuto ordinare per l’anima sua, ma troppo più per quella del tradito defunto; la quale uscita, sua mercè, da questo mondo senza sacramenti per colpa sua, andò perduta... forse; che un solo sospiro di contrizione basta a placare l’ira di Dio; e vuoisi credere che questo sospiro gli sia uscito dal cuore; ma quanti secoli di purgatorio prima di purificarsi! Nè manco lo scritturale del debito pubblico saprebbe scrivere tanti numeri. Dunque presto si ponesse mano a fare un bel testamento di ogni sua sostanza in pro della pia casa di ***, con l’obbligo della celebrazione quotidiana di messe, e uffici altri divini in capo ad ogni mese e ad ogni anno. La donna