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422 | il secolo che muore |
raulenti, massime negli occhi e nelle membra riposte; il sangue dà volta come il vino sotto la sferza del sollione; la sifilide si avventa alla gola, e quinci e dal naso emana in copia una materia viscosa di formidabile fetore più tristo di quello dell’ozena. Ora l’uno, ora l’altro occhio, e sovente ambedue le s’infiammavano nelle iridi, nelle orbite e nei globi, per cui la luce la punge e il buio non la solleva; molto più che le pupille appannate e contratte del morto le stanno attaccate alle palpebre quasi bocca di amante s’incolla alla bocca dell’amante.
Veramente non ci era mestieri occhio medico per conoscere che la morte veniva avanti a gran giornate; tuttavia occhio di confessore in simili faccende non teme confronti; e poi i segni della prossima fine concorrevano tutti; prima di ogni altra cosa la quantità dei medici; il continuo contendere di parole, e talvolta d’ingiurie fra di loro, senza che alcuno sapesse che pesci pigliare; in fine il flagello dei medicamenti; comode da notte, tavole, tavolini, canterani, inginocchiatoio ingombri di bocce lunghe, piccole, mezzane, di ogni dimensione, insomma tante che più non possiedono canne gli organi della chiesa dei Cavalieri di Pisa e della cattedrale di Siviglia; il mercurio faceva pomposa mostra di se, sotto tutte le forme e con tutti i colori; qui avanzi di pillole di etiope, ovvero ossido mercuriale nero, colà reliquie di deutossido rosso, più oltre di calomelano