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capitolo xv. | 39 |
casa la disgrazia. Bisogna riuscire, capisci, bisogna riuscire.
— Non accenderti il sangue; mettiti in calma; se tu avessi dei deputati la conoscenza che ne ho io, tu dormiresti fra due guanciali. Tu ti hai a figurare ch’ei sono come la pasta di cui fanno il pane: parte di loro è infornata e parte sta sulla pala; ora, se non è da dubitarsi della prima, come quella che attende zitta e chiotta a godersi della beatitudine della biscottatura, molto meno si dorrà della seconda, che arrangola di essere infornata per cocere; avanza l’altra, che adesso il governo rimena, e questa giudico la più sicura di tutte, perchè chi ci tiene le mani dentro, a seconda del bisogno o del talento, ora di tonda la fa quadra, di gobba convessa, ovvero l’allunga a coda, a mattarello, a maccheronaio, — insomma come gli pare e piace; dunque tu vedi....
— Dunque vedo che tu ne hai lasciata indietro un’altra parte; la più importante e pericolosa di tutte.
— Quale?
— Quella che sta a lievitare nella madia: agguantiamola. Egeo, agguantiamola, che altri non ce la impasti a nostro danno.
— Eh! capisco; non dico di no; ma tu sai che non è becchime quello che domanda questa maniera di polli.