visitarli; allora il Merlo, per non morir di noia, propose procurarsi la patente per la rivendita dei tabacchi e dei sali, e piacque; e tanto si dimenarono con le mani e co’ piedi, che l’ottennero. Apersero pertanto bottega in mercato, dove non mancando frequenza di trecconi e di vetturali, la bisogna avrebbe potuto camminare pei suoi piedi, se la Elvira e il Merlo non avessero da per loro consumato la metà delle provviste; allora trovarono un altro partito, e ci aggiunsero il giuoco: dopo l’un’ora di notte, chiusa la porta, illuminati appena da una lampada fiunosa, e con carte luridissime si davano a spellicciarsi scambievolmente a maccao, a toppa, a goffo e ad altri giuochi plebei, comecchè noi non sappiamo giuoco nobile che sia: ladri sempre, non era da supporsi che deponessero gli istinti rapaci sopra la soglia: non l’avrebbero fatto entrando in chiesa, figuratevi se lo volessero fare entrando in bottega al Merlo! però non passava notte, che Dio metteva in terra, che non accadessero fiere riotte con accompagnatura di pugni, seggiolate e legnate ed altra simile confettura: certa notte, fra le altre, il Merlo attaccò lite con Sandraccio, uomo fino dalla sua nascita destinato a morire su la forca come il cappone in pentola. Sandraccio, colto sul punto che rubava la carta, con un pugno mandò a terra la lampada, e grancita una manata di quattrini se la diede a gambe; il Merlo, infello-