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capitolo xix. | 391 |
sero unte; e quanto più si accostavano al fine, più turbinavano veloci. Di un tratto, quando uomo se lo aspettava meno, ferme da capo di stianto. come ciò?
Ecco: gli affini di Elvira, al solo udire rammentarla, strabiliavano, i congiunti si sentivano venire addosso i sudori freddi; per verità, e lo notammo, a lei non erano mancati gli esempi materni e nè i paterni avvertimenti, ma sempre invano; ella era proprio ramo tagliato da madre natura dall’albero del male; la perversità aveva rovesciato a panieri i più maligni dei suoi influssi sopra di lei; ribalda nacque, come velenosa la vipera. Se ammazzata alla cheticliella, avvelenata, o meglio annegata col sasso al collo per non tornare più a galla, nessuno dei suoi si sarebbe fatto vivo, qualcuno, all’opposto, avrebbe portato il voto alla Madonna; ma ora non per lei, bensì per sè trepidavano; il nobilissimo loro casato adesso correva rischio, dopo passata la trafila di un processo infame, mettere capo alla galera, e questo li scottava. Se gli affini fossero stati sicuri che i tribunali avrebbero condannata la donna sotto il nome dei congiunti, non se ne sarieno dati per intesi, e così del pari i congiunti nel caso inverso; però grande turbava tutti il sospetto i loro nomi uniti avessero a figurare sopra i registri dello ergastolo, quindi strinsero lega per cavarne la Elvira ad ogni costo; così vediamo sovente nelle classi