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capitolo xix. 373


Spente per bene le ceneri, furono con diligenza raccolte da Egeo e gittate da lui nella latrina, posto dove nella moderna nostra civiltà danno fondo più spesso figliuoli illegittimi che biglietti falsi.

— Ed ora, abbottonandosi l’ultimo bottone del soprabito, disse: Egeo, andiamo a fare un’opera di carità — e con questo egli intendeva recarsi presso la Elvira, per avvertirla che caso mai si trovasse a possedere biglietti procedenti dalle banche degli Omoboni, nonno e nipote, non istesse a gingillarsi, li bruciasse addirittura, se pure non voleva trovarsi a guai. Se a questo atto lo spingesse tutta carità non credo, perchè gli amori di Egeo e della Elvira fossero stati di quelli che cominciano a graffi e terminano a morsi. Recatosi pertanto a casa Elvira, gli fu detto ch’ell’era uscita: trovarsi sola in casa la signora Amina, di salute mal ferma.

— Fa lo stesso, soggimise Egeo, e se ne andò difilato nella camera di Amina, la quale rinvenne giacente su di un lettuccio pressochè al buio; domandatole come si sentisse, rispose:

— Male, Egeo, male.

Di fatti molte cause di tristezza l’erano cascate addosso tutte di un groppo; prima la feroce cupidità della Elvira che, richiesta di partire la spoglia del tradito, proruppe in escandescenze, urlando che a lei sola toccava sopportare le spese di casa, a lei spandere danaro per tenersi bene edificati i vecchi