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capitolo xv. | 35 |
— Eh! la garberebbe anche a me; ma non usa più adesso pestare la gente nei mortai, e bisogna adattarci ai tempi. Tu, però, affoghi dentro un bicchiere d’acqua: dimmi, hai tu mai pensato cotesti repubblicani che sieno? Come le femmine, le quali dopo essersi arrabattate molti anni invano a farsi tentare, per disperazione si vestono monache, così certuni deputati, poichè rimasero due o tre sessioni in mostra su gli scanni della Camera, a mo’ dei mezzi cocomeri sopra la scalinata, senza attirarsi carezza o sguardo del governo, per disperati si gettano al repubblicano. Essi si cullano nella fiducia che veruno conosca il fatto loro, e invece tutti li conoscono dall’a fino alla zeta, e li deridono; di costoro, va’ pur sicuro, la voce, da qualunque parte del corpo la mandino fuori, è stimata del pari.
— Di parecchi io non contrasterò che tu abbia ragione da vendere, ma per altri poi.... noi che di virtù c’intendiamo.
— Noi conoscitori di virtù! Si vede espresso che tu hai oggi, Omobono, alzato il gomito a tavola.
— No, non è questa la ragione; vieni qua che te la dirò dentro un orecchio: — per conoscere i galantuomini non ci è quanto i furfanti; basta metterci accanto a loro per vedere subito la differenza. Persone che s’incocciano nella onestà ce ne fu sempre, e ci sono.
— Gua’! ci sieno; il nostro mestiere sta nello