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capitolo xix. | 365 |
— Le informazioni giunte all’uffizio hanno tanto fondamento di vero, che io per debito di magistrato mi troverò costretto a farne inquisizione presso coloro che so averne ricevuti.
Don Macrobio diventò bianco come la candela, che, datagli ai funerali, spegneva appena accesa; depose le carte sul tavolino esclamando:
— Pretore, su queste cose non si scherza.
— Dico da senno io, e mi vennero partecipati i segni onde conoscerne la falsità. Anche senza confronto, ogni uomo, per poco che ci badi, se ne accorge facilmente; se poi si mette sott’occhio il falso ed il legittimo, ne ottiene la prova, per così dire, palmare.
Allora don Macrobio si rizzò su con tale impeto di rabbia, ch’ebbe a rovesciare tavola, lume ed ogni altra cosa; di rincorsa a casa, dove brancolando mise le mani sopra i biglietti ed aguzzò gli occhi per osservarli; ma questi, imbambolati, gli negavano l’ufficio; quindi prese il partito di tornare alla pretura, dove esaminati con maggior quiete i biglietti, il prete dabbene sentì cascarsi il cuore nelle brache di seta.
Tuttavia, per iscaponirlo affatto, mandò pel sarto, il quale, mediante il confronto minuzioso delle differenze, senza pietà ridusse il cuore del prete in un torsello, che la Crusca insegna essere: «il guancialetto di panno o di seta dove le donne