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capitolo xviii. | 337 |
e questi altri quattro da cinquecento, che in tutti fanno quattromila; mariti fanciulle a suo piacimento; siamo intesi. Adesso bisogna che anche lei si metta dattorno al pretore perchè non m’impedisca ricondurre meco la mia figliuola a Milano; che importa averla salvata dal veleno, se poi la si vessa con tante molestie, che avrà da morire d’angoscia? Innanzi ch’ella si rimetta chi sa quante cure bisognerà ch’io spenda... dirò come ha detto dianzi lei, reverendo, lo vedrebbe anche un cieco.
— Non ci è dubbio... non ci è dubbio.
Allora tutti in acie ordinata uniti mossero contro al pretore, il quale stava seduto al tavolino rapito in estasi, come dev’essere stato san Giovanni quando dettava l’Apocalisse, a stendere la relazione informativa pel prefetto. Cascasse il mondo, prima la relazione; ogni altra cosa dopo; udita la istanza dei supplicanti, rispose secco non potere attendere per ora; lo lasciassero alle gravi incumbenze del suo ufficio: trasportassero la inferma alla pretura. Delegava il maresciallo dei giandarmi a frugare con somma cura tutti (e per ciò si comprendevano anche le tutte) quelli che uscivano dalla stanza, perchè come dice lo Statuto? La legge è uguale per tutti. Non doversi levare niente dalla stanza, ne manco una spilla, nequidem acicula. All’Elvira non parve vero, e fra sè disse: Siamo a cavallo; invece all’Amina diede un tuffo il sangue; ma dalla