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capitolo xviii. | 335 |
E giù vomito a scroscio; mentre Amina appoggia il capo al seno della Elvira, e vomita nella catinella, questa, fìngendo aiutarla con le mani, le cava dal seno i boli della morfina e li mescola col reciticcio. Tranquillatasi alquanto la madre pietosa, le porge a bere caffè a ciotole, mostrando tuttavia accesissimo zelo anche pel giovine avvelenato; ma con lui erano pannicelli caldi: vennero il medico e lo speziale.
Il medico, dopo visitata diligentemente Amina e le materie serbate nella catinella, giudica che a parte le conseguenze del disturbo morale, intorno a cui non si poteva garantire nulla, dove si continuasse la cura del caffè e di altre bevande acidulate con aceto, limone, acido tartarico e simili, la considerava fuori di pericolo: all’opposto, il caso di Omobono parergli disperato; ad ogni modo avrebbe fatto ogni sforzo, ma, per operare, di due cose avere supremo bisogno: quiete e libertà; sgombrassero la stanza tutti, massime la giovane signora, della quale la permanenza prolungata in cotesto luogo era di danno inestimabile.
— Se però non fosse assolutamente necessario... osservò il pretore.
— Necessarissimo, et in primis et ante omnia, confermò il medico.
— Ma che diascolo! Lo vedrebbe un cieco, ribadì il prete, cui, memore del goffo omicida della