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lico sollevargli le ciglia scrutandogli le pupille, che riscontrò orribilmente contratte; lo clhiamò eziandio più volte: «Omobono, caro Omobono... sentimi, riscotiti... rispondimi, via, amor mio». Nulla! — Adesso è il tempo, ella disse, e gli prese di tasca la chiave del baule, lo aperse, n’estrasse il portafogli, che pose sopra la tavola: smoccola la candela perchè mandasse più lume, e reggendosi a stento si accosta alla finestra, ci si affaccia, e la voce di Elvira la percuote subito che dice: «Sono qui».

Il portafogli fu calato, la finestra richiusa in fretta. Amina si fa a serrare il baule e a rimettere la chiave in tasca ad Omobono: allora si accorge come non abbia badato ad altro portafogli di volume molto minore, il quale, aperto da lei, mostra un’altra quantità di biglietti di banca; le pareva tentennare fra la morte e la vita, e tuttavia non sofferse lasciarli; s’ingegnò adattarsi intorno alla vita il portafogli, e sebbene cascasse dal sonno ci si rifece più volte, fincheè non le parve averlo celato per bene sotto l’abito stranamente foggiato che costumava a quei dì. Allora soltanto pensò all’emetico, e, strano a dirsi, non gli riusci pigliarlo; per le membra le si era insinuato un torpore che non le dava balìa di alzare le braccia; quanto più voleva tenere ritto il capo, tanto le ricadeva sul petto peso come il piombo; ed anche la lunga ten-