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uomo e più forte, era naturale che gliene abbisognasse dose maggiore.

Uno si assise dirimpetto all’altro; parevano di marmo; la vita intera negli occhi. Omobono prese un bolo, lo mise nel cucchiaio, che empì di acqua, lo accostò alla bocca, e levato il capo giù il primo. In questo mentre l’Amina s’industriava scambiare i bocconi di morfina con quelli già ammanniti di gomma arabica, ma non le riusci; il freddo le penetra le ossa e la paura le toglie il consiglio; sicchè a lei pure è forza trangugiare un bolo di morfina. Omobono, preso ormai pei capelli dal fato maligno, ingola il secondo; Amina, tremante a verga, si apparecchia ad unitario. Chi la salva adesso? Quello che nè anche il diavolo ora potrebbe, lo farà Amore.

Cotesta vista rimescolò nelle viscere il povero Omobono, che l’amava tanto, onde balbuziendo parlò:

— Aspetta, cara infelice... mi manca il coraggio di vederti pigliare il veleno... lascia ch’io mi volga altrove... e poi avvelenati... Amina, abbi pietà di me.

E con supremo sforzo agguanta i due boli rimasti su la tavola, e senza soccorso di acqua, cacciatisegli in bocca, li trangugia. Così Amina ebbe agio di sostituire la gomma arabica al secondo bolo della morfina, la quale si ripose in seno.

— Ora, soggiunse Omobono, adagiamoci sul letto; si levò, ma traballava, non mica per virtù del ve-