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314 | il secolo che muore |
acqua e d’impotenza a farla; anche in lui i conati al vomito e la languidezza; poco dopo la salivazione continua, le pupille contratte, le sembianze abbattute; nel secondo periodo: svagellamento, ubbriachezza, perdita di conoscenza, sonno profondo; tu capisci come questi accidenti avvengano di tanto più presto quanto maggiore sia la dose del veleno amministrato; posto che pigli la morfina alle ore otto di sera, verso le undici la dovrebbe esser messa finita... Oh! Dio, facciamo presto, che appunto la messa sta per finire, ed io ho da dirti tante altre cose... Verso quest’ora verrò sotto le tue finestre; tu mi getterai; no, meglio calare; hai fune in casa?
— No.
— L’ho portata io; eccola; nascondila sotto il cappotto.
— Intorno al giardino ricorre una siepe folta di allori; appiattati lì e non ti movere se prima non vedi un lume alla finestra sotto la quale tu devi venire...
— Sta bene... bisogna separarci; il prete ha finito... va’ a comunicarti.
Amina si accostò, per dirla in lingua chiesastica, alla mensa eucaristica, a mangiarvi il pane degli angioli. Quando ella tornò al suo posto, l’Elvira se l’era svignata; questa, trovato il Merlo, andò all’albergo a mangiare, bere e fumare con lui; a dormire no, perchè Merlo, anche quando ella trabal-