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capitolo xviii. 299


ti supplico ad accettare la proposta della signora Elvira.

— Davvero?...

Se per me si possedesse la scienza musicale dei più famosi maestri, da Jubal fino al cavaliere Verdi, io non saprei rendere a gran pezza le infinite inflessioni di voce che fece Amina nel pronunziare cotesta parola.

— E non ti riesce a capire, continuò risentita, che mezza della tua maledizione si è rovesciata sul mio capo; la lebbra del tuo corpo si è comunicata al mio? E ti basta l’animo di confortarmi a vivere mia vita di vergogna e di paura? Tu dunque pretenderesti ch’io vegliassi per soffrire i miei dolori ed i tuoi? Tu mi respingi da dormire il sonno eterno sul tuo guanciale? Ah! m’invidi la morte? Tutti voi altri sempre così; sotto infinite apparenze in fondo il vostro unico, rigido, sempiterno vantaggio. E chi ti dà diritto di supporti o più dignitoso più animoso di me? Ho letto di parecchie donne che ebbero con lo esempio della propria morte a dare coraggio al marito codardo di fuggire, morendo, la infamia; di mariti che uccidendosi insegnassero alle proprie mogli a uccidersi non intesi mai.

— Amina, gemè Omobono, abbandonandosi con voce rotta dai singhiozzi nelle braccia della sua donna, non amareggiare di più le ultime ore del