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capitolo xviii. | 295 |
anche a te quale asilo ti resta oltre il seno di tua moglie? Qui vieni, le mie chiome sciolte (e possedeva copiosissimi capelli) copriranno la tua faccia e la mia sfregiate dal perverso destino, non già dalla colpa.
— Amina, io vado a combatrtere; e vincerò... forse; almeno la buona coscienza mi assicura, perchè sono e mi sento incolpevole; tu pure pensi così, e di questa tua fede grazie; ma te non voglio compagna della lotta mortale; la tua ansietà mi leverebbe il coraggio; e il tuo stesso silenzio mi tornerebbe più tormentoso dei lamenti, perchè il dolore inesplorato sovente si teme più profondo di quello che in verità sia...
— E alla tortura della incertezza non pensi... non ai terrori della solitudine... non al delirio della disperazione; io non ti lascio... mi attacco a te; so tu mi mozzassi le mani ti agguanterei pei denti.
Omobono dinanzi a cotesto ostacolo impreveduto tentenna, e Amina, che si accorge di quel momento di perplessità, rincalza favellando risoluta:
— A che questa risoluzione tanto ruinosa? Tutto quello che ciondola non cade, e poi donde ci vengono le notizie? Dalla mia donna di servizio; donna dozzinale, facile ad accettare per contanti tutto quello che sente dire, ad esagerarlo occorrendo. Omobono mio, considera che chi si risolve presto si pente a comodo: qui ci vuole giudizio: non t’impegnare in