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capitolo xviii. | 271 |
le dieci, potè entrarvi; al porre il piè sopra la soglia gli parve un’aura di solitudine ventargli nella faccia, quantunque mirasse seduto al suo posto il commesso principale della casa, a cui volgendo il discorso domandò:
— Ben levato, signor Carpoforo, o che mi saprebbe dire dove si trova il signor Omobono?
— Partito.
— E per dove, di grazia?
— Non lo so.
— E torna?
— Non lo so.
— Diavolo! che mi permetterebbe ch’io mi ponessi a lavorare intorno ai libri della sua ragione, come siamo andati d’accordo con lui?
— Non posso; sto dietro a metterli in pari io.
— In pari! Oh! che bisogno ci è di metterli in pari?
— O come farebbe lei in diversa maniera il bilancio?
— Bilancio! Oh! che vuol fallire il signor Omobono?
— Vuole liquidare: e a me lasciò la procura per condurre a tarmine questa operazione.
Il Nassoli capì la ragia e, cauto com’era, diede volta al timone, e ritirate le labbra verso le orecchie scoperse i denti acuti come lesine (era la sua maniera di ridere), prese commiato dal laconico ra-