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capitolo xv. 25


E poichè ella era più furba di un famiglio dell’ Otto, certo dì, passandosi in rassegna davanti lo specchio, ebbe a persuadersi che volendo continuare in cotesta vita un pezzo le faceva mestieri di coadiutore: così i provvidi capitani di lungo corso si muniscono per ogni fortuna di doppio apparecchio, di alberi e di vele. Non ebbe a travagliarsi troppo tempo per trovarlo anco superiore alla speranza: le occorse di colta una giovane bella, alta, bionda e di gentile aspetto: le sfolgoravano gli occhi colore del cielo, ma le ciglia pudibonde glieli velavano in parte, come la mano di Psiche la lampada, allorchè, in mal punto curiosa, mosse a vedere com’era fatto Amore. I cieli (e dichiaro così, perchè davvero io non saprei a cui altro attribuirlo) l’avevano dotata di un dono insigne, che io per me antepongo allo stesso cinto di Venere, ed era la facoltà di arrossire a suo piacimento fino alla radice dei capelli; la voce le spirava dalle labbra fragranti, soave come l’alito vespertino in mezzo ai fiori. Insomma, per farvela breve, sapete che cosa io vi ho da dire? Che se l’arcangiolo Gabriele fosse stato spedito a lei per annunziarle imminente la calata dello Spirito Santo, si sarebbe peritato — seppure non avesse creduto meglio di fare per sè. — A giudicare di colta, o al lume dei doppieri, tu le avresti dato venti, o tutto al più ventidue primavere, ma sopra il suo