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264 | il secolo che muore |
confondevano baci, sospiri, palpiti e lacrime, liquore stillato dalle palme del paradiso.
Non è vero niente. In paradiso non crescono palme, e chi ci è stato ne fa testimonianza: cotesto che io vi ho detto è liquore anodino, che in certo giorno di armistizio nelle guerre durate fra il cielo e la terra si posero a comporre di amore e d’accordo insieme angeli e demoni. Gli uomini, per non restare indietro, dicono che il giorno di poi fabbricassero in terra l’aceto dei sette ladri, e tutto questo fecero tanto su quanto giù in sollievo della umanità condannata da suo padre al dolore e alla morte. A considerarla bene, questa è una gran cosa. Saturno, padre eterno degli antichi, si mangiava i propri figli, il Padre Eterno nostro non monda nespole, sicchè resta chiarito che a barattare padri eterni più che guadagnare si scapiti; io ho detto ciò, non per disprezzo dei padri eterni vecchi o nuovi, ch’io venero tutti, bensì per ammonire quelli che avessero talento di mutare un’altra volta.
Passò cotesta fiumana di affetto come tutto passa quaggiù; ma l’Amina continuò a tenere con le due mani Omobono, quasi venuta in sospetto che le avesse a fuggire.
Se Carneade quando andò a Roma c’incontrava Amina, per gelosia si sarebbe impiccato: non vanti più la Grecia i suoi retori, tacciano le scuole dei tomisti e degli scotisti; dentro un sacco e in mare