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capitolo xviii. 259


Ho letto che la luce corre settantaduemila leghe il minuto secondo, e non mi è parso gran cosa, perchè il pensiero umano in un battere di occhio gira e rigira dieci volte il mondo; di vero i visitatori di Omobono non avevano ancora mutato un passo fuori dell’uscio del suo salotto, che egli aveva immaginato, discusso e stabilito quanto dovesse fare: atteso il tempo che gli parve necessario perchè si fossero allontanati, e poi di rincorsa in casa alla Elvira; quivi rinvenne Egeo ed altri parecchi amici sviscerati che stavano spogliandosi amorosamente all’antico giuoco del lanzichenecco, il quale ringiovanito col nome di toppa adesso forma la delizia delle nostre veglie. Omobono, invitato a pigliarci parte, se ne schermi col pretesto di forte emicrania, e veramente tutta bugia non era; quando gliene cadde il destro fece cenno all’Amina, che giocava anch’essa alla disperata, perchè si levasse per andare a parlargli. Di cotesto segno, ch’egli fece con la massima cautela, affinchè veruno se ne accorgesse, se ne accorsero tutti, nè se ne scandalizzò alcuno, che oggimai li consideravano come sposi, anzi taluno gli affermava belli e sposati; ad ogni modo non erano gente da commoversi per simili bazzecole.

Eccoli soli e seduti una allato all’altro e con le mani in mano, secondo l’usanza vecchia.