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256 | il secolo che muore |
— Questa non è la mia parte, tremante di passione borbottò il giovane Omobono.
— No! grida Ìl vecchio, diventando livido per male represso furore; — no! — e levatosi di bocca il sigaro lo deposita sul tavolino, quindi continua: — o perchè allora, dimmi, affamato, ti avrei tratto in casa mia e levato la pancia di grinze? perchè, miserabile, ti avrei messo le scarpe in piedi e la camicia addosso?
— Non m’insultate... non m’insultate, per quanto amore portate a mia madre... alla vostra figliuola.
— Che importa a me delle figliuole? Meno passere, più panico. Chi ti dotò di casa, di servi e di cavalli? Chi dalle latrine ti assunse alle beatitudini del paradiso terrestre? Mio il bicchiere col quale bevi, mio il piatto dove mangi, mia la catinella dentro cui ti lavi, il letto dove dormi, la sedia dove ti assetti, le vesti che ti coprono; se quanto hai di mio intorno a te, da me chiamato venisse a me, tu rimarresti come Adamo quando uscì dalle mani del Padre Eterno.
— Non è vero... la mìa casa non ebbe bisogno di casa vostra mai, mentre la mia vi ha sovvenuto, vi ha aiutato, e Dio sa con quanto scapito di reputazione e di danaro.
Il vecchio barattiere, fingendo non sentire cotesto parole, continuava infellonito:
— E ti bastò l’animo, impronto e sfacciato, per