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250 il secolo che muore


I sopraggiunti, ricambiati i saluti, assettaronsi al fuoco, dove attesero per parecchi minuti a scalciarsi; pareva che il vecchio Omobono, quantunque fosse quel furfante da tre cotte che noi conosciamo, pure una certa esitanza gl’impedisse di rompere su quel subito il silenzio; si trattenne alquanto; all’ultimo incominciò:

— Nipote mio, mi rincresce di avertelo a dire, siamo alla porta co’ sassi.

II nipote non rispose verbo, onde il vecchio, dopo breve pausa, ebbe a continuare:

— Proprio rovinati di pianta.

— Se così è, disse alla fine Omobono con saldo accento, pera l’interesse, salviamo l’onore...

— Questo per lo appunto non siamo più a tempo a salvare, e fossimo non sarebbe ciò che preme; dunque all’onore diamo di frego. Davanti a noi adesso si aprono due sentieri, o darci di un revolver nel cranio, e questo io scarto ricisamente, o adattarci al domicilio coatto in qualche bagno del regno italiano, ed anche questo non entra nelle mie previsioni; haccene un terzo, e questo giudico l’unico spediente; salvare più che possiamo per vivere bene in questa vita, perchè nell’altra Dio fa le spese, in questa no. Ora dammi retta, figliuolo; io conto che tu debba trovarti su per giù un seicentomila lire tra cambiali, biglietti all’ordine, valori pubblici e cassa; che te ne pare?