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248 | il secolo che muore |
un fiero dolore di capo. Dopo un angoscioso dare di volta prese ad appisolarsi, ma di corto saltò giù prorompendo in acutissimo strido. Accorsa la Bianca, lo interroga spaventata che cosa si senta; ed egli:
— Guardami qui! qui — e abbassava il capo per sottoporlo alla ispezione della moglie — ci devo avere laceri... buchi profondi.... morsi.... vestigi di sanna.
— Nè manco per sogno: hai il tuo capo ravviato per bene, secondo il solito; e quando te lo dico io ci puoi credere...
— E che non ho sentito il mio povero capo stritolarsi per un’ora e più sotto le mascelle del diavolo? Poi ei l’ha sputato in faccia a un dannato che gli bruciava di costa, dicendo: «Giuda, tu mi consumi il carbone a tradimento; scroccone di fama... lascia quel posto e da’ luogo al tuo maestro.» Ahi, la mia testa! Ahimè, il mio cervello!
— Calmati, Fabrizio mio, come fa buio ce ne andremo ai pater nostri in San Filippo, dove ti farò ungere il capo coll’olio della lampada di Maria dei sette dolori... vedrai... vedrai... ti farà la mano di Dio... ma rispondimi di proposito, che dianzi non sono riuscita bene a capire, è egli finito il magno processo?
— Il processo! Ah! il processo... sì, è finito. Adesso comincia il mio.