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capitolo xvii. 241


la congiura ancora i soldati, stomacando quelli che avevano confessato vedersi da Fenio Rufo lor compagno esaminare. Minacciando egli e stringendo forte Scevino a dir su, Scevino ghignò dicendo: — ninno saperne più di lui. — E lo conforta a rendere il camhio a sì buon principe. Fenio non parlò e non tacque, così gli si rappallottarono le parole in bocca per lo spavento.» E poichè anche il servaggio ha i suoi eroi, il duca di Veccaro, confidente di Filippo IV di Spagna, anzichè riversare sul padrone la colpa ond’era accusato, elesse morire su i tormenti.1

Fabrizio non si mostrò nell’arringa sobrio come

  1. Questo caso è al tutto sconosciuto o poco manifesto: gioverà ricordarlo. Filippo IV di Spagna commette al duca di Veccaro scriva a sua sorella, moglie di Luigi XIV, si adoperi con ogni sua possa a indurre il marito a pacificarsi col cognato, ma lo faccia in modo che paia scrivere spontaneo, non già per comandamento del re, ed il cortigiano puntuale adempie il mandato; la lettera casca nelle mani del Consiglio di Spagna, i! quale appone accusa di tradimento al duca. Il re temendo per la sua propria salute non si oppone alla prigionia di lui, ed in segreto fa dirgli stia saldo, egli penserebbe in ogni modo a salvarlo: pertanto, messo il malcapitato al tormento, negò sempre la partecipazione del re, e tanto si spinse da un lato la sua caparbietà a negare, e dall’altro quella del Consiglio a tormentarlo, che all’ultimo morì in mezzo agli strazi. In questo mentre il re faceva esporre il Santissimo Sacramento, raccomandando al popolo di pregare Gesù secondo la sua intenzione, la quale, nota un dotto e pio ecclesiastico, era che il duca morisse su la tortura, perchè in cotesta maniera il re veniva a conseguire due beni: il primo, la sicurezza che il segreto non si sarebbe mai venuto a scoprire; il secondo, che la morte del duca lo avrebbe liberato dallo imbarazzo e dalla spesa di mostrargli la sua gratitudine.