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capitolo xvii. 239


meno vivido: consultato il medico, lo assicurò trattarsi di alterazione poco importante: pigliasse riposo, gli occhi lavasse con acqua e aceto; e caso mai non potesse astenersi dal lavoro, tenesse sul banco una catinella di acqua gelata, dove immergendo di frequente la spugna, con quella si rinfrescasse il capo; questo accidente, invece di ammansirlo, lo inasprì: ora poi ebbe arso davvero i cariaggi: e poichè di tornare indietro non ci era più verso, avanti a scavezzacollo. Il dibattimento ebbe luogo; gli accusati confermarono alla udienza quanto avevano dichiarato di già nel processo scritto: se predicarono repubblicani, della monarchia nemici implacabili, eterni, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, intenti co’ pensieri e colle opere ad abbatterla: ogni altra accusa respinsero sdegnosi: il manifesto donde Fabrizio s’ingegnò dedurre per via di sofismi la strage meditata del capo dello Stato assai facilmente mostrarono non prestarsi a simile concetto: ad ogni modo non essere fattura loro, il signor regio procuratore saperlo meglio di ogni altro; lo domandassero a lui.

Insistendo il presidente della Corte di assise, forse per segreto astio contro. Fabrizio, per saperne l’autore, assorsero tutti con l’indice appuntato contro l’accusatore gridando:

Lui lo sa, lui lo sa.

Fabrizio, per un istante smarrito, afferrò fretto-