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226 | il secolo che muore |
con le mani ne grondavano giù lacrime come acqua della spugna tratta fuori dal catino.
A sollievo del misero (a lui parve sollievo), ecco spalancarsi fragorosa la porta del carcere e comparire il custode a recargli il pasto. Il custode, un giorno carceriere addirittura, come la guardia di sicurezza sbirro: ipocrisia da aggiungersi al mucchio: il predicatore lasciò detto: vanitas vanitatum, et omnia vanitas; ai dì nostri con migliore fondamento direbbe: ipocrisia delle ipocrisie. Il custode dunque, fìngendo non accorgersi dello stato pietoso in cui vedeva ridotto Zaccaria, così prese a dirgli:
— Ecco qua una zuppina nelle regole, proprio da resuscitare un morto.
— Lasci, signor custode, lasci tutto sul tavolino, che mi sento ben altra voglia che quella di mangiare...
— Andiamo, via, la non si lasci arrugginire dalla malinconia; ha ella avvertito quanto le ha detto l’usciere? E sa, cotesta gente mangia la foglia per aria per sapere da che parte ha da tirare il vento.
— Vede, signor custode, se potesse... più del desinare avrei bisogno di un’altra cosa...
— Di che mai? Parli franco.
— Di un codice penale.... del regno sardo.... badi... 1859.
— Non so... non saprei... capisce... facciamo una cosa... ne parlerò col signor direttore...