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capitolo xvii. | 219 |
ratti dei cittadini per la città, come le formiche ammusavansi, e quindi quegli pigliava a destra, questi a sinistra; chi riponeva le mercanzie in cantina, chi portava il vino in soffitta; chi seppelliva il danaro; i preti rimpiattarono i calici d’argento e levarono via i voti dalle immagini; passato il pericolo, quando li vollero rimettere al posto, sbagliarono strada, e invece di portarli alla Madonna li venderono all’orefice. Le donne accesero i lumicini a’ piedi ai santi; le finestre chiusero diligentemente, affinchè il cholera della rivoluzione non entrasse in casa; taluna calafatò finanche i buchi di chiave alla porta di casa; peccato dimenticasse la cappa del camino. Le scale dei prefetti e dei questori da quel di in poi non misero più erba per la frequenza di quelli che trepidando venivano per notizie. Le guardie nazionali, a scanso di cimenti, nascondevano i fucili in camera alle balie; nella gola del privato giù polvere e palle, con maraviglia del Dio Stercuzio, che di cotesto offerte non aveva visto mai. L’ebreo, sempre sospettoso, ammiccava carezzevole dell’occhio alla guardia di sicurezza, e le diceva: — Per vita mia, se come il nome, cara lei, avesse sesso femminile, la sposerei... in una parola, venivano a galla tutti i segni, coi quali la jpaura indica le imminenti perturbazioni civili.
Sotero, nel riferire allo amico Fabrizio tutti cotesti successi, aggiungeva: