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capitolo xvii. | 211 |
putazione, che mi dici questo: di me non temo, anzi ti avviso che oggi... a mezzogiorno... verrò alla libera per parlarti al tuo ministero...
— Non farlo...
— Anzi lo farò e con licenza dei superiori come un libro stampato a Venezia; ora, via, ascoltami. Mio marito afferma che tu possiedi molto carte di suo; già s’intende, quando non era stato convertito per tua intercessione. Cotesto carte, egli aggiunge, caso mai venissero un giorno o l’altro a scoprirsi, sarei un uomo morto; ad ogni modo lo trattengono da proseguire franco nella faccenda che tu sai: dunque cercale queste benedette carte e portale teco al palazzo, dove me le renderai, per cavare di pena quella povera anima di mio marito.
— Io l’ho per inteso: a mezzogiorno ti aspetto; e adesso levati il cappello e vieni qua a fare colazione con me.
— No, grazie, non posso trattenermi, bisogna che mi vada a confessare; ho già bell’avvertito il confessore, il quale chi sa quanto tarocca non mi vedendo comparire: addio, addio, ricordati dei nostri amori.
— E tu ricordati, che come questa fu la prima, così non sia l’ultima sorpresa che mi fai.
Io, scrittore, a questo punto ebbi ad uscire dalla camera, e però non potei trattenermi a verificarlo,